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Letizia De Rosa

Ci sfruttano o ci autosfruttiamo?


Confrontarsi aiuta a conoscersi e a conoscere meglio chi abbiamo intorno, l’ambiente in cui viviamo e i luoghi e le persone che frequentiamo, riguardo al lavoro e alla sfera privata. 


Sono stata una stacanovista e non me ne vanto. Nel senso che rinunciavo volentieri a qualsiasi cosa pur di lavorare. 


Mi sentivo in colpa ad avere orari e volerli rispettare, ero quasi in competizione continua con gli altri, e questo mi portava a voler far tardi sempre, ad accumulare lavoro, ad essere stanca più del dovuto, a non voler delegare. 


Insomma, le mie spalle, non troppi grandi, reggevano un peso fuori norma. 


Ma c’è di più. 


Non ero più solo in competizione con gli altri, ma lo ero con me stessa. 


L’asticella era sempre più alta, così come la soddisfazione a questa legata, l’adrenalina. Una droga forse. Chissà. 


Il tutto per non subire critiche dai vicini d’ufficio, per non sentirmi dire magari “cos’è De Rosa, pensi di lavorare alle Poste o in un ufficio pubblico?”. Come se la qualità del lavoro si misurasse solo in ore lavorate. Come se si lavorasse solo in alcuni luoghi e in altri no. 


Ecco che allora quello che spesso definiamo sfruttamento in fondo si traduce in auto sfruttamento. 


La produttività non è più quindi solo un “invito” a dall’esterno a fare di più, ma un obbligo che ci autoimponiamo, un dovere che non va mai in pausa, una lotta continua contro il tempo, un gioco al rialzo dove si perde sempre qualcosa di importante. 



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